Presentazione di Angelo Lumelli per l’esposizione delle tavole originali della graphic novel Cento Scene da La Sposa Vestita.
Maggio 2018
Nella primavera del 2017, di questi giorni, ho chiamato Andrea Franzosi dicendogli: vorrei fare un sito, intendo una casa, una casetta tutta mia, con finestre.
Andrea Franzosi è uno che quando muove le mani, disegna.
Io lo guardo e, detto senza offendere, sembra che con i movimenti delle mani, un po’ fanatiche, sia intento a fare e disfare in continuazione le figure che stanno per cadere sul foglio.
Gli suggerisco: non sarebbe male se nel sito, ogni tanto, spuntasse una figura delle tue, sarebbe come mettere la pulce nell’orecchio.
Poi aggiungo, per maggiore chiarezza: non si tratta di decorazioni, ma di scappatelle, piccole insubordinazioni, forse risarcimenti per tutte le figure lasciate alle spalle, mi sono spiegato? Una breccia nel muro, ecco!
Dopo qualche giorno Andrea Franzosi mi chiama: le scene della Sposa vestita le vedo, quindi si possono disegnare.
Non intendevo questo, gli dico, avevo in mente di fare qualche breccia nel muro, non di riempire le brecce del mondo.
La sposa vestita , come avrai constatato, ha più interruzioni che scene, più invisibile che visibile, è come andare in treno da Genova a La Spezia, con una galleria sempre sul più bello. Non ti sembra?
No che non mi sembra, l’invisibile lascia un’infinità di tracce, afferma Andrea. Per esempio si possono disegnare i pensieri che scappano. A gambe levate è un concetto rappresentabile in decine di modi. Bisogna tenere conto degli aiutini, parole, titoli, nuvolette.
A me è venuto in mente che, a questo punto, Andrea Franzosi poteva disegnare La fenomenologia dello spirito, ma non gliel’ho detto, riservandomi di dirglielo più avanti.
Per farla breve: hai presente Pollicino che lascia i sassolini sulla strada? Ogni sassolino è una scena, scena dopo scena si ottiene un percorso, ovvero la trama del romanzo.
Anche la via crucis segue questo principio, gli dico.
Sono venute fuori 100 scene, cifra tonda.
A cose fatte, come spesso accade, uno si trova in colpa dopo una serie di azioni che, una per una, risultavano innocue. Questo è il frutto delle intenzioni latenti, quando si accorgono, con stupore, del loro successo. In ogni caso la colpa è stata cancellata da una bella sanatoria: il fumetto va avanti, ormai è oltre le sessanta tavole, dimostrando che niente è più rassicurante di un’ossessione.
Io può darsi che esageri, ma ho visto che, mano mano, le scene facevano piazza pulita delle parole, una cascola inarrestabile, al massimo lasciando qualche titolo, monconi di frasi suggestive, un po’ruffiane, e io, che quel linguaggio avrei dovuto difenderlo, ero contento, contento di stare in mezzo a una folla scalmanata di figure.
Ho calcolato, ad occhio, che le parole occupavano lo 0,01% delle scene. Era fatta.
Quando ho visto i volti dei personaggi che avevo pensato, Vale, Confù, Oscar, Helmut, Antò, il professor Cusatelli, Fulvia, Irene, Franzi, la biondina di Casteggio, ho detto: sono loro!
Erano apparizioni, come chi vede la Madonna.
Quando c’è un’apparizione vuole dire che il pensiero è inciampato.
Io personalmente non aspettavo altro. Lo aspettavo al varco. Da tempo.
Gli identikit dei personaggi presupponevano una esistenza in carne ed ossa, vale a dire un’incarnazione, come dire: si ricomincia ogni volta da zero!
Affrontare il pensiero con l’incarnazione, ecco la peculiarità di Gesù Cristo.
Forse per questo l’immagine, che è un segno dell’incarnazione, è in conflitto con il pensiero, come se lo tenesse al guinzaglio.
Il Conciglio di Nicea II del 787 ha proclamato invece che le figure sono un aiuto, un soccorso per i sensi che vacillano di fronte all’invisibile. Gesù, in quanto persona, può essere figura. Le chiese non hanno più un centimetro di intonaco vergine. Effettivamente l’immagine è un luogo, dove il pensiero può rifugiarsi e, per un po’, abitare in pace. Facies ad faciem, persona con persona, dialoghi misteriosi.
Soltanto questo potere della figura, la consolazione di vedere, zattera di salvezza per lo sguardo, come la foto dell’amata nel portafoglio dei camionisti, tutto ciò ci consiglia di perdonare le apparizioni della Madonna ai pastorelli, compagni delle nostre allucinazioni infantili, apparizioni cadute nelle mani dei venditori di panini.
Che l’incarnazione sia un pensiero che si condensa fino all’opacità o un pensiero che si moltiplica rendendo vano ogni inseguimento, queste non sono soltanto questioni teologiche bensì questioni che riguardano la teoria del fumetto e l’etica dei fumettari.
Con linguaggio biblico si potrebbe dire che ogni figura è uno scandalo, come fare lo sgambetto a un pensiero claudicante.
La figura sta di fronte al pensiero come una provocazione, un Prometeo nano che prende le difese dei viventi.. Sulla sua testa è sospesa l’idea, come una spada.
In ogni caso noi viviamo tra immagini, mentali e oculari, come se ogni concetto sollevasse un volo di storni.
Senza immagini mentali il pensiero si ammala, come nel caso di Monsieur X trattato nel 1883 da Charcot e Bernard. Chi perde le immagini perde la memoria e l’orizzonte e anche la strada di casa.
Dirà Monsieur X: “ ora io sogno soltanto parole”. Troppo e troppo poco per un uomo.
Noi riceviamo e rilanciamo immagini senza sosta. In mancanza, le inventiamo.
Sant’Agostino, molto involontariamente, apre un credito garantito in favore dello sguardo e delle figure, allorché una sua frase, mentre vuole dire una cosa, si lascia tirare per la giacca e ne dice anche un’altra, a nostro vantaggio, un contropiede fatto a un santo praticamente. Eccola:
“Nos autem ista, quae fecisti, videmus, quia sunt. Tu autem quia vides ea, sunt.” (Confessioni, XIII, 38, 53)| Noi, per parte nostra, quando vediamo una cosa, vuole dire che c’è. Tu invece quando vedi qualcosa, allora quella comincia ad esistere.”
Tutto ciò va a pennello per un fumetto e per le allucinazioni.
Quando ho visto le figure di Andrea Franzosi, lì per lì avrei voluto smettere completamente di leggere per guardare e basta. Mi è perfino venuta l’idea che le parole fossero come la liana di Tarzan, un appoggio per scavalcare l’abisso.
Le figure dei fumetti mi hanno incantato fino alla prima media. Poi ho preso un’altra strada. L’immaginazione andava più veloce senza le figure. Non mi sono più voltato indietro. Ho scambiato le mie raccolte di Tex Willer e di Pecos Bill con altri beni: biglie di vetro colorato, fionde con l’elastico di caucciù, un campanello cromato della bicicletta.
Da adulto ho intuito le novità portate da Crepax, da Milo Manara, da Tiziano Sclavi, da Igort.
Direi che ho considerato le figure come una tentazione, un attardarsi del sentimento, una difficoltà maliziosa nel distacco. Confesso una leggera gelosia, come chi vede l’altro che non è mai solo, sempre in compagnia di immagini che lo intrattengono e che per giunta può farsele da solo. Imputavo al fumetto il privilegio dei particolari, come se il disegnatore salvasse una cosa piuttosto che un’altra, per capriccio, per ragioni tecniche, per chiaroscuro, per ragioni sue.
Niente cose per rendere giustizia a tutte le cose! Un rogo d’amore. Forse ho attraversato un periodo iconoclasta. Perdono.
Adesso guardo queste scene di Andrea Franzosi e mi vengono in mente i grandi poeti dello sguardo, quegli antichi del milleduecento, provenzali, siciliani, Cavalcanti. Il vedere è all’origine di ogni meraviglioso sconquasso.
Avendo gran disio
dipinsi una pintura,
bella, voi somigliante,
e quando voi non vio
guardo ‘n quella figura,
par ch’eo v’aggia davante (Jaxopo da Lentini, Meravigliosa-mente)
Sempre di Jacopo è l’ingegnosa similitudine della fiamma dentro al vetro della lucerna che arriva, attraverso gli occhi, al cuore, così come arriva la figura della donna:
ma voglio lei a lumera assomigliare,
e gli occhi miei al vetro ove si pone:
lo foco inchiuso poi passa di fore
lo suo lostrore, senza far rottura;
così per gli occhi mi pass’a lo core,
no la persona ma la sua figura. ( Or come pote si gran donna intrare)
La figura, tuttavia, è colei che non lascia andare oltre. Mentre trattiene nel mondo sensibile, essa manifesta la più grande resistenza a sublimare in idea, salto di qualità che propone una salvezza avara, con troppa luce senz’ombra. La figura, invece, vuole vivere in una esaltante solitudine insieme ad Amore, l’antagonista del puro concetto, colui che si rifiuta di essere ridimensionato e salvato.
I dissapori tra Dante e Cavalcanti devono avere avuto, in gran parte, un’origine del genere,
nell’inflessibile amore di Cavalcanti per la figura, per il senso che non è un altro ma questo, sempre più splendente, fino a rendere ciechi :
Li mie’ foll’occhi, che ‘n prima sguardaro
vostra figura piena di valore,
fuor quei che di voi, donna, m’accusaro
nel fero loco ove ten corte Amore. (Li mie’ foll’occhi)
In quel luogo magico, dove l’esperienza e la memoria non mollano la presa, là si realizza il senso incarnato, quello che tenta in modo particolare.
Si noterà, penso, che sto guardando questo fumetto, che amo profondamente, con una strana inquietudine e pari attrazione. In realtà gli auguro un destino felice, perché sa stare al gioco del senso che, per timore dello specchio maligno, lo rompe e si trova rispecchiato in cento frammenti, in una ridda amica o nemica, attraverso la quale passa il cavaliere puro, colui che cerca in punta di matita.
Intuisco la predilezione di Andrea Franzosi per le quinte teatrali, per i recessi di ogni cosa, per gli interni che sono labirinti, visioni che fanno ricordare le Carceri d’invenzione di Piranesi.
Come nel romanzo ogni parola ha un tremito tutte le volte che un concetto può farle torto, così queste magnifiche figure, nate nel buio del tratteggio, hanno una particolare vibrazione quando sentono il loro fantasma.
Angelo Lumelli